Il treno viaggiava non troppo veloce ne troppo lento.
Pieno di extracomunitari,
di viaggiatori occasionali.
Ed io, straniera per convenzione,
isolata nella mia gabbia di pensieri,
tra la polvere di negative sensazioni.
Il troppo parlare,
urla discontinue e fastidiose,
rendevano insopportabile l’attesa per l’arrivo.
Chi mi stava di fronte non capiva il disastro che portavo dentro,
le mie paure filiformi
che si aggrovigliavano a quegli angoli di gioia
di cui potevo fregiarmi.
E poi l’arrivo…
Il via vai disorganizzato tipico delle stazioni,
la processione di vite,
di storie,
di dolori.
La mia malinconia trasparente mi faceva procedere a piccoli passi
Con un incedere che sapeva di calma e di abitudine.
Incontri amici e incontri casuali,
inutili parole,
sempre le stesse da settimane,
racconti che non cambiavano mai il loro tema.
La via della casa dell’ospitalità non era tanta
Eppure,per la strada,
mi si sono impresse negli occhi milioni di fotografie
di una tristezza che appariva normale
che non sconvolgeva lo sguardo di nessuno come stava accadendo al mio.
Corpi mollemente distesi nelle aiuole sudice,
vite adagiate sui marciapiedi dell’indifferenza.
Disperarsi è essere allegri qui,
nell’oasi del disagio.
Un clochard dorme come se riposasse su un materasso comodo
Ma sotto ha una coperta di erba rada e terra,
terra dura,
inquinata dallo squallore della sporcizia.
La sua espressione serena,
la sua bocca spalancata come per incamerare tutta l’aria che sapeva di smog in un solo respiro.
Poco più avanti una tossicodipendente.
La sua figura appoggiata al botteghino chiuso,
il suo guardarci come se di noi ne avesse visti tanti,
senza chiederci un soldo ne un sorriso per il prossimo ago che perforerà le sue vene.
Il nostro camminare che non si ferma di fronte alla miseria di queste visioni
Mi disarma.
Io non posso proseguire portando nel cervello archivi di pensieri futili e leggeri
Rispetto alla complessità della vita.
Vorrei potermi fermare a discutere con ogni singola individualità lì,
al ritrovo degli alienati
ma nessuno capisce la mia necessità.
Non ci si può abituare al disagio e all’inutilità.
Ho camminato migliaia di volte lungo quella tratta
Ma adesso è tutto diverso.
Nulla è uguale a prima.
Quanti metri dovrò ancora percorrere con lo strazio nel cuore?
Quante volte sentirò ancora pronunciare la parola solidarietà e nell’istante successivo mi accorgerò che coloro che soffrono sono sempre più soli?
No, questo cammino non può finire.
Porterò queste immagini appiccicate agli occhi
Le riguarderò come anteprime perché ingrandirle mi farebbe solo più male.
L’ipocrisia ,come un corvo affamato,
si aggira ancora sul delimitato terreno di questo campo d’anime esangui.
Julie