Al-Kahina, la leggendaria guerriera berbera che resistette all’invasione araba, di Hurriyya


“AL–KAHINA”

 LA
MAGA, L’INCANTATRICE


 


Al-Kahina è ricordata come
l’anima della Resistenza berbera agli Arabi invasori guidati da Hassan
b.Al-Numan dopo il collasso della potenza bizantina, segnato dalla caduta di
Cartagine del 73/692-3 d.C.


Quale fosse la sua reale
personalità, senza dubbio molto complessa, è molto difficile da definire,
poiché occorre rintracciare gli elementi di verità tra le tante leggende giunte
a noi sottoforma di miti.


Non c’è certezza neanche sul suo
nome, dato che ‘Al-Kahina’ è soltanto un soprannome conferitole dagli Arabi.


Si dice si chiamasse ‘Dihya’ (Ibn
Khaldun menziona una tribù berbera conosciuta con questo nome), di cui ‘Dahy
ā’, ‘Dāhiya’, ‘Damya’, ‘Dāmiya’ o ‘Daĥya’ potrebbero
essere semplicemente varianti ortografiche.

 

Ci si trova di fronte alle stesse incertezze riguardo al suo lignaggio;
si dice che fosse la figlia di Tatīt, o ancora di Mātiya (Matteo), figlio di
Tifān (Theophanus).

Se ciò significa che Al-Kahina discendesse da berberi di sangue misto,
che fosse cioè il risultato di una serie di matrimoni misti, allora ciò ci
aiuterebbe a comprendere la sua forte autorità, che ella esercitava non solo
sui suoi compatrioti, ma anche sui bizantini stessi. Numerose altre indicazioni
confermano questa ipotesi. Si dice inoltre che Al-Kahina avesse sposato un
greco, e che avesse avuto due figli: uno di discendenza berbera, l’altro di
padre greco (Yūnānī). Ella era inoltre, contrariamente all’opinione comune, di
religione cristiana, e non ebrea.

La sua tribù, i nomadi e pastori Djarawa, una suddivisione degli Zanāta,
questi legati al clan degli Buţr, adottarono invece l’Ebraismo, ma come molte
altre tribù, come ad esempio i Nafūsa, furono successivamente convertiti al
Cristianesimo. 

 

Quando Al-Kahina apparve sulla scena della Storia era già vedova, ed era
senza dubbio molto anziana.

La leggenda racconta che visse per 127 anni, 35 dei quali come “Regina”(Malika)
dell’Aures dove nel 477, dopo una vittoriosa ribellione contro i Vandali, era
stato fondato un primo regno Berbero indipendente, governato da Iabdas.

 

Al-Kahina era senza dubbio una mistica. Al momento della sua ispirazione
diveniva selvaggiamente eccitata, e lasciava che i suoi capelli fluttuassero e
ondeggiassero battendole sul petto. Ella praticava anche altre tecniche di
divinazione più comuni, come leggere il futuro nella sabbia, e non c’è dubbio
che dovesse gran parte dalla sua autorità proprio a questi poteri profetici.

Raccolse la sfida lanciatale da Kusayla, che aveva mobilitato il popolo
stanziale dei Barānis. Inizialmente ottenne delle vittorie. Dopo aver preso
Cartagine e distrutto le armate bizantine, Hassan mosse verso i monti dell’Aures,
la roccaforte della resistenza berbera. Egli raggruppò le sue armate sulle
alture di Meskiana e attaccò. Al-Kahina fece lo stesso dopo aver demolito la
città di Bāghāya, che molto probabilmente era la sua capitale, e che ella non
voleva cadesse in mano agli aggressori. Lo scontro decisivo si tenne sulle
alture di Oued Nīnī, probabilmente non lontano dall’attuale linea ferroviaria
per Khenchala.

La battaglia fu talmente disastrosa per Hassan che per molti anni dopo
gli Arabi continuarono a chiamare la zona dell’Oued con il nome di ‘Nahr
al-Bala’, ovvero ‘Fiume delle sofferenze’.

La spedizione, che segnò la prima battuta d’arresto di Hassan, ebbe il
suo epilogo nel territorio del Gabès nel corso della battaglia finale che portò
gli invasori fuori dall’Ifrīkiya. Ad Hassan fu ordinato di fermare la ritirata
ad est di Tripoli, dove egli stabilì il suo campo (denominato Ķuşūr Hassan)
aspettando un’occasione migliore.

Al-Kahina allargò il territorio su cui esercitava la sua autorità, ma
sicuramente il suo potere non si estendeva sull’intero Maghreb, e neanche su
tutta l’Ifrīkiya, così come è documentato da alcune fonti (Ibn Dhari e
Al-Nuwayrī). Ella non maltrattò i prigionieri arabi, e anzi ne adottò uno di
loro, come voleva la tradizione berbera, prendendolo in custodia come fosse stato
un bambino; si trattava di Khalīd b.Yazīd, un capo arabo influente, che era però
da molti considerato una spia inviata dal campo di Hassan.

 

Forse ella intendeva stabilire buone relazioni con gli Arabi e portarli
a rinunciare ai loro obiettivi, dei quali ella era senza dubbio ben informata
da mezzi ben più affidabili della divinazione…

Fu probabilmente il fallimento di questa politica che la portò, in uno
stato di disperazione, a devastare il paese, adottando di fronte allo spietato
nemico una politica di terra bruciata, così come aveva fatto Salomone nel 539
contro Re Iabdas quando questo si era arroccato tra le montagne dell’Aures.
Queste presunte devastazioni sono state oggetto di controversia per molti anni.
Alcuni storici moderni le negano del tutto; i cronisti arabi del tempo invece
le amplificarono enormemente. Di fatto sembra che esse non possano essere negate
completamente, ma non devono neanche essere viste come un cataclisma. Queste
devastazioni non furono estese oltre alcune regioni dell’Ifrīkiya, tuttavia
devono essere state abbastanza ingenti da rendere ostili alcune popolazioni
stanziali le quali, quando non fuggirono per cercare rifugio in Spagna o nelle
isole del Mediterraneo, chiesero ad Hassan di intervenire.

 

Hassan, che si era tenuto informato della situazione e aveva ricevuto
rinforzi, invase di nuovo l’Ifrīkiya, probabilmente nel 78/697-8 (non è
chiaro), stavolta probabilmente con il supporto di alcuni contingenti berberi
ostili alla politica di Al-Kahina.

 Da questo momento in poi i berberi
non fecero più causa comune, e un’atmosfera di disfattismo cominciò a prevelere
nell’Aures. Al-Kahina tornò in questa situazione a dar voce a quelle sue allarmanti
profezie che altro non erano che avvertimenti di una vicina sciagura; tali
profezie sono giunte a noi come oracoli.

 

Il primo scontro si ebbe nella regione del Gabès e fu sfavorevole ad
Al-Kahina. E’ questo il momento in cui si verifica il drammatico episodio,
anche se molto probabilmente vero, in cui “la Regina”, certa della sua vicina sconfitta, consigliò
ai suoi figli di cambiare alleati prima che fosse troppo tardi. Lei stessa, con
Hassan alle calcagna, scappò per rifugiarsi nelle montagne dell’Aures. Lo
scontro finale avvenne in un luogo che Al-Malik chiama ‘Tarfa’: la forma
‘Tabarka’, utilizzata da Al-Bakrī, Ibn Nādjī e Ibn Abī Dīnār ne è senza dubbio
una chiara distorsione grafica. Qui, probabilmente circa 50 chilometri a nord
di Djabal Neshshār, nei pressi di Tobna, Al-Kahina intraprese la sua ultima
battaglia, la quale, si racconta, fu combattuta da entrambe le parti come una
lotta fino alla morte; Al-Kahina spirò accanto ad una fontana, che per molto
tempo recò il suo nome.

 

La sua energia e il suo spirito di determinazione hanno creato intorno
alla sua figura molta ammirazione, e alcuni storici moderni hanno visto in lei
una sorta di Giovanna d’Arco Berbera.(de Hartigues, Monographic, 182). 

 

BIBLIOGRAFIA:

  1. The Encyclopaedia of Islam, New Edition, volume
    IV, pg.422-423.
  2. Abdallah Laroui; The History of the Maghrib, An
    Interpretative Essay; Princetown University Press, consultabile presso
    l’Istituto Universitario Orientale – Napoli.
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